«I disturbi dello “spettro bipolare”, ovvero i quadri clinici un tempo indicati col termine generico di “psicosi maniaco-depressiva”, consistono in sindromi di interesse psichiatrico sostanzialmente caratterizzate da un’alternanza fra le due condizioni contro-polari dell’attività psichica, il suo eccitamento (donde la cosiddetta mania) e al rovescio la sua inibizione. [Cit. Wikipedia]».
Già questo ci dà un primo indizio in merito al contenuto dell’album: un insieme di testi che possono essere ascritti all’una o all’altra condizione del disturbo.
Vincent canta di quello che lo riguarda, di quello che conosce, di quello che succede dentro e attorno a sé – come afferma anche nel Press-Kit che accompagna il lavoro – e lo fa utilizzando la metafora del BSD.
È così che ha scritto 12 dei 13 brani dell’album (il 13° è la cover di “By This River” di Brian Eno): come una specie di diario di autoanalisi che racconta le fasi alterne di mania e depressione, di energia e malessere, di impulso ad agire e di apatia, di voglia di sovvertire tutto e di paranoia.
Il tutto mai in modo banale o con autocompiacimento (fase maniacale) o autocommiserazione (fase depressiva); un’analisi vissuta ma distaccata di idee, momenti di vita, periodi difficili, con coerente dualità…
Una menzione particolare va al brano “L’odio di Caesar” scritto a quattro mani con l’amico Salvatore Piccione dei Karma in Auge ed ispirato alla poesia “Indifferenza” di Cesare Pavese: in primis per la vena sperimentale “sporca” di New-Wave che lo contraddistingue dal resto dei brani, in secundis perché è il primo brano in italiano della band.
Indipendentemente dai testi fortemente autobiografici in cui molte persone potranno anche non riconoscersi, quello che si nota da subito è come sia cambiato il sound della band.
Nulla è andato perso in termini di potenza, ma è stato dato maggiore spazio all’elettronica a scapito delle chitarrone del precedente album (“Art Of Suffering” del 2011. Altamente consigliato!!).
Si allontanano quindi dai Rammstein, per avvicinarsi agli Orgy. Attenzione però! I riferimenti sono a puro scopo indicativo. Gli Hate Inc. hanno una loro personalità e non scopiazzano nessuno; durante tutta la durata dell’album non mi è mai capitato di sentire momenti che richiamino alla mente questa o quell’altra band del panorama Industrial mondiale, così come non ci sono cali di tensione e nemmeno qualitativi.
Il lavoro che è stato fatto è notevole ed è merito di gente con le palle, specie se consideriamo che è stato totalmente autoprodotto (da Vincent Vega e Victor Love dei Dope Stars Inc.) ed autodistribuito, bypassando completamente i tradizionali canali dell’industria discografica.
Sicuramente abbiamo fra le mani un gran bel disco che porta la band ad un livello di primo piano nel genere di appartenenza e che dimostra ancora una volta come in Italia ci sia gente che sa comporre e suonare.
La lunga attesa (l’uscita inizialmente era prevista antro la fine del 2012) è stata ben ricompensata!
Non un punto d’arrivo quindi ma una nuova ripartenza.
Gemini
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