Nel voler far bene questo lavoro, alle volte è difficile scindere l’aspetto musicale da quello umano, anche perché l’uno è la diretta conseguenza dell’altro e le canzoni di un vero artista non sono altro che lo specchio della sua anima. Ciò nonostante bisogna giudicare in modo oggettivo quella che è la mera produzione artistica, senza farsi condizionare dalle idee o dallo stile di vita di chi le compone. In questo specifico contesto si potrebbero dire molte cose a discapito degli Hate Inc., gruppo di Taranto formatosi nel 2007 a seguito del progetto del fondatore e leader Vincent Vega. Si potrebbe dire ad esempio che il suddetto Vincent si lasci prendere un po’ troppo dal ruolo di artista negativo e maledetto, speculando su una serie di luoghi comuni dal dubbio interesse e dalla dubbia veridicità (ma glielo si può perdonare, vista la sua giovane età) e portando al limite del grottesco quella che potrebbe essere una reale filosofia di vita come una scaltra operazione pubblicitaria; nessuno ce lo può dire, ma sicuramente ci gratifica come la musica sia per lui (e non solo per lui) una fonte di evasione intrigante e auto-terapeutica. Si potrebbe anche dire che mai nome fu più scontato (ma allo stesso tempo mai più azzeccato), visto il genere proposto dal quintetto, a grandi linee un industrial metal sulla scia di Nine Inch Nails e Marylin Manson. Si potrebbero dire molte cose, che in fondo non hanno senso e lasciano tempo solo a quelle riviste o webzine che si fanno incantare dall’effimero lato estetico della musica; ciò che non si può assolutamente negare è che questo “Fragments”, EP di 4 canzoni che precede l’uscita dell’imminente full-lenght “Art Of Suffering”, risulta essere un lavoro davvero interessante, di altissimo livello, che non ha nulla da temere nel confronto con le grandi band del genere a cui appartiene. Un ensemble di energia e rabbia supportate da una buona dose di atmosfere cupe; canzoni semplici e ben registrate, suoni professionali e, finalmente, un cantante che riesce ad esprimere sé stesso con un buon timbro, coadiuvato da effetti riusciti e adeguatamente dosati. Il lavoro in cabina di regia di Victor Love (Dope Stars Inc.) è eccellente e rende giustizia a composizioni di qualità, senza snaturarne la compattezza con l’abuso dell’elettronica, come troppo spesso accade. Penso sia tutto quello che occorre a un fan di queste sonorità. Esplorando singolarmente le tracce del dischetto, l’iniziale “Fragments” trascina l’ascoltatore in un crescendo d’intensità che culmina in un riuscito ritornello che può ricordare alcune recenti produzioni dei Paradise Lost. Non altrettanto riuscito il ritornello della seconda traccia, “Learn To Love”, un po’ scontato nel seguire il riff di chitarra con la melodia vocale. “Harangue” è invece il pezzo più tirato, un martellamento di doppia cassa decisamente metal e molto Ministry. Ma la vera sorpresa è la title-track del prossimo disco in uscita, che riesce a colpire maggiormente soprattutto l’ascoltatore votato a sonorità dark: la tastiera che accompagna il potente riff di chitarra è imponente quanto delicata e ricorda l’importanza che i synth hanno avuto nell’economia del suono di dischi come “Demanufacture” dei Fear Factory; il basso gira sulle corde alte quasi in stile new wave e la voce è meno cavernosa e più introspettiva, raggiungendo i canoni di quella che potremmo definire una disperazione propria del grunge. Debutto davvero ottimo: segnatevi questo nome in attesa del loro primo full-lenght, perché ne vedremo (e ascolteremo) delle belle.
Silvio Oreste
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